NICOLÒ CERIONI: RICERCA E INTUIZIONE

Incontriamo Nicolò Cerioni, lo stylist di X Factor, Jovanotti, Pierfrancesco Favino e Laura Pausini, tra gli altri, e socio di Sugarkane, con il regista e fotografo Leandro Manuel Emede.

Com’è cambiato il suo lavoro, rispetto a quando ha iniziato?
La cosa che noto di più è l’immediatezza. Purtroppo oggi ci si aspetta che ogni richiesta sia soddisfatta subito. Un tempo c’erano le urgenze, ma oggi è eccessivo. Un grande nemico del mio lavoro è WhatsApp, per intenderci. Ovviamente, ci sono anche i vantaggi, ma il fatto che tutto sia veloce non vuol dire che sia più facile. Un altro aspetto che è cambiato e che il lato commerciale ha preso il sopravvento. È vero però che c’è tanta creatività in giro e che si sta accentuando la tendenza a dar voce alla personalità dell’artista. Questo può anche portare a un vizio di forma. Molti infatti pretendono di avere un controllo eccessivo su quello che fanno. Il caso di Jovanotti è diverso. Lorenzo ha infatti delle cose da dire e fa bene a farlo. È necessario equilibrio, da un lato uno stilista non può imporre la sua visione a un’artista, dall’altro l’artista non può non avere rispetto per la griffe che lo veste.

Appunto, lei come fa a ottenere la fiducia dei personaggi che veste?
Bisogna sempre essere molto onesti. Devi capire chi hai davanti. in genere si tratta di persone che hanno una forte personalità e vogliono comunicare qualcosa. Bisogna poi tener consto che c’è un forte scollamento tra un corpo normale e un corpo da passerella, perfino troppa distanza. Una volta capito cosa l’artista desidera comunicare, comincio a fare delle ricerche iconografiche molto ampie, immagini di riviste, film e libri. Con Jovanotti questo lavoro di ricerca di mondi di riferimento è fondamentale, perché Lorenzo è molto colto. Segue una ricerca di capi e faccio le mie proposte. È fondamentale immaginarsi la resa davanti alle telecamere, perché i corpi rendono al meglio con delle silhouette definite.

Come mai ha scelto di dedicarsi allo styling delle celebrity e non alla moda?
È un discorso complesso. Credo che in questo campo si possa esprimere la personalità in modo più ampio. Io non credo nel buon gusto. Mi ricordo un’intervista a Diana Vreeland, nella quale raccontava di essere spaventata piuttosto dall’assenza di gusto. Non serve esser belli, bisogna essere diversi e avere talento. Per questo trovo riduttiva l’ossessione per gli influencer e per il mondo Kardashian. C’è tanta alterazione in questo. È sintomo di una grande crisi, se si inseguono miti senza contenuto. La moda ha una storia fatta di grandi rivoluzioni. Svuotata di questo, restano solo gli stracci. Pensiamo allo smoking del nude look di Yves Saint Laurent, si trattava di uno statement. Oggi c’è troppa distanza tra le passerelle e la strada. Alla gente non interessa molto della moda e delle sfilate. La moda non sa più parlare con la gente, mentre un tempo si sognava sfogliando le riviste.

Come si svolge la collaborazione con gli uffici stile delle griffe, quando si tratta di impegni articolati, come la realizzazione di un guardaroba per un tour?
Ho seguito un tour per Laura Pausini e ormai cinque per Jovanotti. Si parte dallo show e, in base alla struttura dello spettacolo, si prepara un moodboard, in seguito si capisce con chi è meglio collaborare. Ci si confronta con la maison e si cerca di creare dei pezzi unici. In quest’ultimo tour Lorenzo voleva essere più libero di improvvisare. Abbiamo messo insieme due guardaroba, uno con Valentino, fatto di pezzi realizzati apposta per lui, a parte alcuni pezzi iconici customizzati. Il bomber, per esempio, ha dei ricami heritage degli anni sessanta. L’altro, invece, è composto di una selezione di prototipi di Gucci. Bisogna rispettare le maison con le quali si lavora. Da Valentino si sono dimostrati molto generosi con Lorenzo, mettendo a disposizione l’ufficio stile e l’atelier dell’alta moda. Nel 2015 hanno realizzato per noi dei pezzi ricamati a mano nell’atelier, dalla maestria incredibile. Avevo il terrore che si rovinassero.

Qual è stata la sua soddisfazione più grande fino a ora?
Nell’ultimo tour, Jovanotti apre il concerto indossando una camicia di Valentino, che avevo pensato la prima volta che ho ascoltato Oh, vita!. Il giorno che abbiamo girato il video, ho immaginato una situazione. Mi è venuto in mente il Lorenzo di un tempo. Ho un ricordo preciso di Serenata rap, del 1994. Avevo comprato il CD con i miei genitori e l’avevamo ascoltato subito in auto. Ho pensato che la camicia check del video di Serenata rap potesse tornare oggi in una versione preziosa. Così è nata la camicia check tempestata di Swarovski termosaldati di Valentino che Lorenzo indossa quando apre il concerto, abbinata alle calze di paillettes di Gallo. Quando ho visto la performance la prima volta mi sono emozionato. Mi succede quando vedo realizzate delle cose sulle quali ho lavorato tanto. Mi piace quando una mia intuizione si intreccia con quella dell’artista. Oltretutto, sono sempre stato un grandissimo fan di Jovanotti, penso che i suoi spettacoli siano unici e che lui sia un canale positivo di unità.

Ha delle icone?
Madonna è suprema. C’è sempre qualcosa di Madonna in quello che faccio. Ricordo quel pomeriggio del 1989 nel quale ho visto il video di Like a Prayer. Ero esaltato e spaventato. In tutti i suoi lavori convivono l’eccitazione e il disturbo. In Italia, invece, l’icona pop per eccellenza è una sola, Raffaella Carrà, l’unica in grado di superare i limiti del kitsch restando sempre fantastica. Negli anni novanta, ho avuto anche una fase più rock, con punti di riferimento come Marilyn Manson, gli Incubus e i Korn. Io sono così, ho gusti molto ampi, mi sento doppio.

Il suo styling dei sogni?
Potrei dire Madonna, Raffaella Carrà o Beyoncé, ma mentirei. Per me sono icone, appunto, e non voglio nemmeno conoscerle di persona. Ho paura di rovinare il mito.

Nuovi progetti?
Io e Leandro Manuel Emede abbiamo diverse cose in ballo, dei progetti sui quali stiamo lavorando per conto nostro, documentari e film. Ho voglia di cambiare un po’ direzione, vedremo.