THE NAKED TRUTH, LE POLAROID DI CHRISTIAN BOARO

Il fashion designer Christian Boaro ha deciso di svestire le persone e di fotografarle con una Polaroid per realizzare una raccolta di 8000 scatti in 10 anni, raffiguranti personaggi provenienti dalla strada, dai club, dai social o dai viaggi, che compongono una mostra dal nome THE NAKED TRUTH, al PlasMa, Plastic Modern Art, a Milano, fino al 1 luglio.

Come mai questo titolo?

Rappresenta la bellezza e la naturalezza degli scatti e il bello delle polaroid è che le fotografie sono esattamente quel che sono, non si possono doppiare e modificare, sono uniche.

Come nasce l’idea?

Mi è venuta per caso fotografando amici e conoscenti.

L’obiettivo?

Togliere i vestiti per raccontare le persone senza sovrastrutture. L’abito è una maschera che racconta ciò che noi vogliono dire di noi stessi, mentre io volevo raccontare la verità, nuda e cruda.

Ci parli di questi scatti.

Sono legati al mio immaginario, non ci sono dei cliché. Ragazze rasate, ragazzi mulatti, gemelli. Sono tante piccole ossessioni che volevo racchiudere in un contenitore che mi rappresentasse appieno.

Tante persone sono riprese di schiena.

Le persone si riconoscono già dalla loro schiena e dopo tanti visi volevo raccontare le persone senza doverle guardare in faccia, da un’altra prospettiva.

Ha scattato anche con pellicole scadute.

Le ho volute usare appositamente perché si possono ottenere degli effetti imprevisti che non si possono gestire.

La sala rossa è molto d’impatto.

È una raccolta di nudi che evidenziano più parti del corpo. È un contenitore più intimo e la luce rossa è visivamente molto forte e legata alla nudità e alla sessualità, ma non ha un’accezione sessuale. Gli scatti contenuti nella stanza, come tutti gli altri, sono sempre molto distaccati e non hanno un rapporto malizioso o morboso con il sesso. Il corpo è nudo e mostrato per quello che è.

Quindi rappresentano il suo rapporto con la sessualità?

Si, fanno parte del mio immaginario e delle ossessioni che io stesso ho.

Com’è stato il suo approccio con le persone che ha immortalato?

Molto diretto e sincero, e le persone si sono fidate.

Come le ha messe a proprio agio?

Parlandoci di tutto. È l’unico modo per interagire. Inoltre, la maggior parte delle foto sono scatti rubati, non ci sono delle pose volute, sono foto naturali.

Come ha scelto i soggetti?

Sono conoscenti e non. Non sono famigliari e amici, non so perché, ma non me la sono sentita, forse rappresentano la parte più intima di me e quella ancora la voglio tenere nascosta.

Ci parli della croce realizzata con le foto.

Volevo rappresentare il mio immaginario religioso, che mi porto dietro da parecchi anni, legato anche alla musica. In queste foto c’è una ragazza afro che ho voluto appunto inserire, dopo che mi ha raccontato dell’Africa e della sua religione. Mi piaceva il contrasto tra la sua cultura e la nostra e in più volevo invertire i canoni della religione, togliendo tutte le sovrastrutture.

Come mai la scelta del PlasMa per questa mostra?

Qui sono di casa e in più questo spazio si adatta molto bene alle fotografie.